The Six Minute Project
















The six minute project - http://www.sixminuteproject.com - è un progetto multimediale collettivo a cui gli utenti partecipano caricando immagini ogni sei minuti che documentano 24 ore della loro vita.
La schermata iniziale del sito mostra ,a sinistra, 4 immagini su fondo nero ed a destra una serie di box con informazioni sui contenuti del sito, un link alle faq, un banner per l’iscrizione.
Le 4 immagini sono thumbnails di una gallery, ed in basso, cliccando su una freccia grigia si visualizzando le altre gallery.
Entro nella prima gallery: 242 foto sulla vita di uno studente delle Hawaii. Nella prima indossa un giubbotto salvagente arancione. Nella seconda è con una ragazza anche lei con giubbotto arancione.Nella terza è in una grande stanza con una ventina di persone che indossano lo stesso salvagente. Via via che scopro nuove immagini mi diventa chiaro che è un gruppo di amici su una nave che sta partecipando ad una festa. Una festa di ventiquattro ore in una nave. I sorrisi. Le bottiglie. Risate. Velocità. Balli. e poi stanchezza. Il tempo che rallenta. Due amici abbracciati su una poltrona. Una ragazza addormentata sul pavimento. Qualcuno sbadiglia. L’ultima foto ritrae l’alba da un oblò della nave.
Duecentoquarantadue foto raccontano ventiquattro ore della vita di una ragazzo americano, dei suoi incontri, delle cose che lo incuriosiscono di più.
Accanto a questa altre storie. Infinite storie.
C’è un gusto nel raccontare e nel raccontarsi. E naturalmente questo incontra dall’altra parte il piacere di leggere questi racconti. Dall’altra parte poi non è esatto, perché non si sono parti così distinte: un di qua e un di la.. Questo è un progetto aperto. Chiunque può entrare e raccontare la sua storia. Costruire il suo racconto.
The six minutes project è un racconto. Una riflessione sul racconto. Un nuovo modo di raccontare le persone. I luoghi. Gli incontri.
Un’opera. Aperta. Entrate. Lasciatevi trasportare dal flusso di immagini.
E se proprio volete cercarne il senso fatevi guidare dalla frase di Diane Arbus che galleggia sopra il titolo del sito: “La fotografia è il segreto di un segreto. Più ti racconta e meno capisci”

Bio Motion Lab
















Il BiomotionLab, diretto dal professore Nikolaus F. Trojel (Department of Psychology and School of Computing Queen's Unversity Kingston, Ontario Canada ) lavora su vari aspetti della percezione visuale e si è focalizzato su temi come il riconoscimento di agenti digitali per genere maschile e femminile, emozioni, personalità, azioni.L’esperimento che vi propongo è una parte estremamente semplice ed intuitiva del lavoro di questo laboratorio, che però mostra già chiaramente l’efficacia di questa ricerca ed i suoi possibili sviluppi.In pratica l’applicativo presente nel sito http://www.biomotionlab.ca/Demos/BMLwalker.html vi permette di visualizzare una persona costruita da pochi punti verdi in movimento in uno spazio verde e di attribuirle emozioni – triste o felice -, caratteristiche di genere – maschio o femmina -, dimensioni corporee –leggero o pesante -.Spostando i cursori presenti nel sito il personaggio virtuale si trasforma e diventa più triste o più allegro, più nervoso o più rilassato.Quello che mi sembra interessante è la possibilità di attribuire ad un carachter virtuale le nostre qualità umane:è una frontiera successiva a quella della verosimiglianza tout court. L’attore virtuale diventa così un agente in grado di somigliarci fisicamente ed interiormente: bello o brutto, magro o grasso, allegro o triste, nervoso o rilassato. La antica tavolozza dei colori di un pittore diventa uno schermo interattivo attraverso il quale attribuire ai nostri attori digitali le caratteristiche che nella storia che abbiamo immaginato.Mi viene in mente Salgari, che ha scritto delle pagine straordinarie sull’India, sui Pirati in lotta con gli inglesi; pagine estremamente minuziose, ricche di dettagli sui luoghi, le abitudini degli indiani, le piante e gli animali della giungla. E come tutti sanno Salgari non è mai stato in India. Ma ha letto libri, frequentato biblioteche ed ha immaginato e ci ha fatto immaginare. Ha mosso i suoi attori virtuali in uno spazio virtuale e ce li ha resi verosimili. Di più, ci ha fatto entrare in quelle storie.Qualche tempo fa ho scoperto un bellissimo libro di fotografie e disegni di un autore napoletano, Matania, anche lui mai andato in India. Matania è stato l’illustratore dei libri di Salgari. Ha disegnato la giungla, l’oceano indiano, Sandokan, gli inglesi, le tigri. Ha creato dei personaggi virtuali. Ci ha reso per immagini quello che Salgari ci ha raccontato scrivendo. Accanto ad ogni illustrazione, nel libro, c’è la fotografia con delle persone –in genere parenti di Matania- che stanno in posa come Sandokan mentre si difende da una tigre, o come le tigri di Mopracem mentre attaccano gli inglesi. Matania insomma utilizzava dei personaggi reali per disegnare i suoi personaggi virtuali. All’epoca non esistevano tecniche raffinate e precise come il Motion Capture – la tecnologia che sta alla base degli esperimenti del Professore Nikolaus F. Trojel -, e quindi Matania lavorava con la fotografia: mettendo in posa i suoi fratelli e cugini poteva osservare certe torsioni del corpo, certe smorfie dei volti e ritrarli nelle sue illustrazioni. La tecnica contemporanea del Motion Capture utilizza alcuni sensori posti sul corpo umano che registrano ogni movimento e lo rimandano ad un computer che elabora questi dati e li resituisce sotto forme di immagini sintetiche. Queste immagini sintetiche, opportunamente lavorate, sono gli attori virtuali. Gli attori virtuali con cui raccontare nuove storie. Immagini. Sogni.